Indiscutibile pietra miliare del rock o, più in generale, autentico pilastro della musica del ’900, Jimi Hendrix è stato compositore raffinato, esecutore sopraffino e interprete originale: artista della medesima caratura di Igor Stravinsky, Miles Davis, Bob Dylan. O, per certi versi, ancora più eccezionale quando si pensa che la sua carriera, e cioè quella del più grande chitarrista della storia, si è consumata in soli quattro anni, bruciando velocemente proprio come alcune delle sue leggendarie Stratocaster sacrificate sui più prestigiosi palchi internazionali. Superata l’emozione per la prematura scomparsa, messa da parte la spettacolarità delle esibizioni live, accantonata la prodigiosa abilità tecnica e strumentale, di Hendrix rimarrà (e per sempre, come lui stesso aveva tragicamente profetizzato dicendo “when I’ll die just play my records”) la sua musica. Una musica fantastica, imprevedibile, sperimentale. Superbamente cosmica, probabilmente “aliena” ma ancora oggi fresca, dinamica, moderna e innovativa. Ma rimarrà anche la sua figura, umanamente fragile, gentile e timida ma pubblicamente eccentrica e affascinante, inimitabile icona del “hippismo” e della controcultura degli anni ’60.